CHE COS’E’ UNA PSICOTERAPIA

4PSICOTERAPIA

Come dicevamo nella premessa, lo psicoterapeuta dovrebbe quindi riuscire a tracciare un ‘cerchio magico’ che renda il setting psicoterapeutico un tempo e un luogo ‘altri’ in cui il paziente non senta come troppo pericoloso provare ad abbandonare la sicurezza e la costrizione del noto per immergersi nelle acque del fertile caos dei ‘possibili’.
E’ qui che al paziente dovrebbe essere offerta la possibilità di scegliere la propria verità su cui ricostruire un mondo ‘vivibile’ che non richieda, come i feroci dei Aztechi, il sacrificio umano per mantenersi.
E dopo aver vissuto l’esperienza di una ‘ri-creazione’ attiva, di una ‘rinascita’ attiva, a questo punto il passo successivo dovrebbe essere quello di imparare a ri-creare’, imparare a ‘rinascere’.
E’ quanto viene espresso nell’opera di Bateson  quando esprime il concetto di ‘deutero-apprendimento’: apprendo ad apprendere.
Per Bateson, all’esperienza di apprendere (quindi cambiare) dovrebbe seguire l’apprendere ad apprendere: imparare a dominare il mondo, invece che esserne dominati.
Dalla scoperta dell’arbitrarietà nasce l’unica libertà che ci è concessa: quella di scegliere e di creare la nostra ‘realtà’, nel rispetto della ‘realtà’ dell’altro: “Solo la nostra verità ci farà liberi / liberi di dubitare e di accogliere, / liberi di sperare e di scegliere, / liberi di accettarci e accettare, / liberi di sentire e di esistere.»……
A conferma di quanto suesposto, molti studi hanno confermato che non esiste una maggior efficacia di alcuni presupposti teorici (=mondi del terapeuta) rispetto ad altri: tutte le scuole hanno una percentuale molto simile di successi e di insuccessi.
Il che significa che non è offrire ‘l’ interpretazione ortodossa’ o ‘la soluzione alternativa’  ciò che è terapeutico, bensì rendere concepibile al soggetto la possibilità di altre scelte’, cioè restituire al paziente il potere di scegliere liberamente la ‘sua soluzione’.
Certo, il terapeuta a sua volta ha operato anche lui, a suo tempo, una scelta: ha optato per formarsi in una certa prospettiva teorica che, originariamente, deve essere stata per lui fonte di insights personali: è’ noto che Freud, che tanta importanza dà alla sessualità e al complesso di Edipo, era nato in una società sessuofobica, ed era il figlio diletto di una bella e dolce mammina; Adler era il fratellino minore di un ‘Delfino’ irraggiungibile.
Tuttavia la teoria formativa del terapeuta è solo il punto di partenza: il discorso teorico, indispensabile per dare una direzione al cammino, è una traccia da cui parte un viaggio imprevedibile verso una meta per ogni paziente diversa.
La teoria non deve diventare una gabbia che limiti la libertà interpretativa di questo sconosciuto che è il reale.: “Il reale non è ciò che si lascia assorbire dal discorso logico, ma ciò che gli resiste.”- Morin
Il gioco delle ipotesi, in psicoterapia, è il gioco di ‘rispecchiare’ i racconti del paziente per sottolinearne le rigidità, suggerirgli che, forse, infiniti altri racconti sono possibili ed invitarlo ad inventare nuovi racconti e nuove soluzioni in libertà.
Psicoterapia è una interazione in cui il terapeuta dovrebbe diventare il garante di questa libertà.
Ma per essere il garante deve cercare di essere lui stesso il più libero possibile: libero da pregiudizi, libero da presupposti teorici rigidi, dovrebbe restare aperto agli impulsi e ai suggerimenti nuovi provenienti da ‘modelli’ diversi e sviluppare un suo originale eclettismo che gli possa aprire vie d’uscita insospettate quando le rispettive rigidità (del paziente e del terapeuta) minaccino di spingere la terapia in un’  ‘impasse’  che molto assomiglia ad un sintomo….
E’ questa quell’ ‘irriverenza’ rispetto ai propri schemi teorici che, secondo Cecchin, il terapeuta dovrebbe acquisire.
Essendo inoltre una interazione, il terapeuta non si trova solo ad avere a che fare con le rigidità del paziente e con le proprie rigidità teoriche, ma anche con le rigidità relazionali che si instaurano nel loro rapporto e che hanno a che fare con le necessità emotive di entrambi.
Il meschino si trova quindi nella malaugurata posizione di osservatore di un sistema (terapeuta/paziente) di cui egli stesso fa parte: invischiato dunque in un paradosso logico! (Godel 1936-Russell1976.)
E’ qui che deve subentrare l’angelo custode del terapeuta: il collega supervisore.
Il supervisore è il collega psicologo a cui il terapeuta ricorre quando avverte il pericolo di una ‘situazione di stallo’ nel corso di una terapia.
La sua posizione ‘esterna’ alla coppia terapeutica dovrebbe dargli la possibilità di ‘vedere’ meglio e dare utili consigli, come un elicottero può suggerire utili manovre ai marinai di una barca arenata nelle secche.
E qui il mio paziente lettore potrebbe obbiettare: ‘ma chi ‘supervede’ la coppia terpeuta/supervisore?’
La risposta credo che sia racchiusa in una battuta umoristica che ho sentito al  congresso ‘Umorismo in terapia’ svoltosi nel giugno 2007 ‘e che cito a memoria: ‘io ho un collega supervisore, il mio supervisore ha un collega che lo supervede, questo va da un collega supervisore e quest’ultimo viene da me a farsi fare supervisione…’…..   e il cerchio si chiude.
Al di là della battuta che svela il potenziale liberatorio dell’umorismo che esorcizza il potere paralizzante del paradosso, la risposta non può essere che filosofica: non esiste certezza assoluta (neppure nelle scienze cosiddette esatte!), così come non esiste libertà assoluta.
E la psicoterapia è come la vita: non puoi ripetere da capo l’esperimento, non puoi usufruire di una prova di ‘falsificazione’, quindi, di fronte sia a successi che ad insuccessi non ti è sempre dato di sapere quanto è destino e quanto determinazione.
Come suggerisce Morin: <<l’osservatore non sa se è la sua incertezza che egli proietta nell’universo, o se è l’incertezza dell’universo che giunge alla sua coscienza>>, e conclude Russell: <Insegnare a vivere senza la certezza e tuttavia senza essere paralizzati dall’esitazione è forse la funzione principale cui la filosofia può assolvere nel nostro tempo.>
Ma – concluderei io- in questa incertezza è la nostra porzione di libertà ed la nostra ‘prometeica’ (o più prosaicamente ed ottimisticamente ‘DeCoubertiniana’) grandezza di uomini.