3- LA SOFFERENZA PSICHICA
Ognuno di noi è in qualche modo ‘prigioniero’ della sua descrizione del mondo: quanto più rigide sono le sue premesse, tanto più limitate sono le soluzioni a sua disposizione: il suo grado di libertà, la sua possibilità di scegliere tra benessere e sofferenza sintomatica.
Per esemplificare, pur inevitabilmente semplificando e banalizzando, possiamo pensare che un certo sintomo fobico possa essere l’unico modo per evitare di esporci al pericolo di un mondo che temiamo di non saper controllare…o per dire di no a delle scelte imposte da qualcun altro che pensiamo di non poter contrastare…
Un certo sintomo ossessivo potrebbe essere l’unica via per nascondere a noi stessi pulsioni, magari normalissime, ma che noi temiamo inconfessabili e incontrollabili.
Una depressione potrebbe essere l’unica difesa per giustificare il ritiro da un mondo che disperiamo di riuscire a rendere adeguato alle nostre esigenze….o semplicemente per avere il tempo per elaborare un lutto da cui tutti vorrebbero che ci liberassimo rapidamente…
Quel certo ‘status di malato’ potrebbe essere l’unica strategia per far convergere l’attenzione su di noi e/o distoglierla da attriti relazionali famigliari che potrebbero essere vissuti come distruttivi….
Non riconoscere dei sentimenti negativi e quindi mantenere una iper-stimolazione dell’apparato neuro-immuno-endocrino, a costo di pagare il debito con una malattia psicosomatica, potrebbe essere l’unico modo per evitare di affrontare il dolore psichico e la fatica dolorosa del lutto.
…E potremmo procedere all’infinito…
L’Io quindi finisce talora per optare per il sacrificio di sè nella sofferenza omeostatica del sintomo, piuttosto che mettere in dubbio il suo modello, piuttosto che naufragare nell’incertezza, affrontare la ‘fine del proprio mondo’ ed il dolore creativo del lutto, cimentandosi nella costruzione di un mondo nuovo in cui le immagini di dei terrificanti possano svelare il loro volto benigno.